24 MARZO .... 32 anni dopo..... per non dimenticare
El Salvador, 1980. Nella piccola nazione del Centramerica, la guerra
civile – ormai decennale – ha già causato più di 75mila morti e un milione e
mezzo di rifugiati. Il regime al potere, sostenuto dagli Usa, è stato definito
«colpevole di genocidio» dalla commissione sulla verità dei fatti, voluta dalle
Nazioni unite. La sera del 24 marzo,
mentre celebra l’Eucaristia, mons. Oscar
Romero, arcivescovo della capitale San Salvador, è ucciso da un sicario.
Pochi minuti prima, concludendo l’omelia, ha detto: «Uno non deve mai
amarsi al punto da evitare ogni possibile rischio di morte che la storia gli
pone davanti. Chi cerca in tutti i modi di evitare un simile pericolo, ha già
perso la propria vita».
Romero è stato una sorpresa della storia. I poveri salvadoregni non si
sarebbero mai aspettati di vederselo al proprio fianco. Né le élite ecclesiali
e di governo di vederselo “contro”. Era stato nominato presidente della
conferenza episcopale proprio perché ritenuto un conservatore.
Ma, tre settimane dopo quella nomina, il fatto che cambiò radicalmente
la sua vita: l’assassinio di padre Rutilio Grande, il suo più stretto
collaboratore, da parte di sgherri del regime. Romero capì da che parte stare: dalla
parte dei poveri. E i poveri divennero per lui coloro senza i
quali vivere non sarebbe stato più vivere. E lui divenne per il potere un
traditore.
Da quella morte iniziò per Oscar Romero un cammino di liberazione. Che lo portò al martirio. Ma la sua morte fu un canto di resurrezione: «Non credo a una vita senza resurrezione. Se mi uccideranno, risorgerò nel popolo salvadoregno».
Ha lasciato un segno nella chiesa latino-americana e del mondo intero. Ricordare il suo martirio, 32 anni dopo, significa “far memoria” delle cause per le quali fu ucciso, ma soprattutto del suo instancabile impegno a fianco degli ultimi.
In un mondo in cui la guerra e le dottrine sulla “sicurezza nazionale” stanno sempre più diventando strumento di risoluzione dei problemi, Romero invita a rifiutare le logiche del potere e della violenza, proponendo, con l’esempio della sua vita, la strada della non violenza.
Lui, che il giorno prima di essere ucciso, invitò i soldati a «disobbedire a ordini che ingiungono di uccidere», perché «sono ordini di peccato», invita, anche ai giorni d’oggi, caratterizzati da tante “missioni di pace” condotte con le armi, a considerare l’obiezione di coscienza come opzione cristiana.
E se, oggi come nel 1980, in
El Salvador ( e in molti paesi del mondo...) i poveri sono sempre di più ai
margini della società, mons. Romero ci invita a fare una scelta di parte: «Il
mondo dei poveri ci insegna che la liberazione arriverà quando questi nostri
fratelli non staranno più dalla parte di chi riceve le elemosine dal
governo e dalle chiese, ma saranno ESSI STESSI PROTAGONISTI del loro cammino per la liberazione».
Dal giorno della sua morte la gente lo chiama, lo prega, lo invoca come san Romero d’America. La sua gente l’ha già proclamato santo. Il suo processo di canonizzazione è cominciato quella sera di primavera del 1980. Oggi san Romero vive nei cuori e nelle lotte di tanti popoli. Il luogo della sua canonizzazione non è più la Piazza San Pietro di Roma, bensì tutte le piazze del mondo, dove si condivide e si lotta per la dignità degli uomini e delle donne.
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