Una notizia
recente
da non sottovalutare: lo sforzo della gente locale in difesa del
proprio ambiente
Ruth Buendía,
37 anni, indigena Asháninka, ha guidato una campagna per frenare la costruzione
di due centrali idroelettriche che avrebbe implicato l’allontanamento forzato
di migliaia di nativi dell’Amazzonia peruviana. Per questo è stata insignita
del Goldman Environmental Prize 2014, popolarmente conosciuto come il ‘Nobel per l’Ambiente’, insieme ad
attivisti di India, Indonesia, Russia, Sudafrica e Stati Uniti.
(Non mi arrenderó, continueró a lottare per il mio popolo" - Ruth Buendía)
Schiavizzata e
sottoposta a brutalità da parte della guerriglia di Sendero Luminoso durante la
‘guerra sporca’ degli anni 1980-2000, con almeno 6000 vittime e 10.000
sfollati, l’etnia Asháninka ha continuato a pagare politiche di esclusione e
sfruttamento del proprio territorio. Nel 1990, a 12 anni appena compiuti,
Buendía dovette lasciare la sua terra natale, Cutivireni, per rifugiarsi a Lima
dopo l’assassinio di suo padre e il sequestro della sua sorella maggiore da parte
di Sendero. “Abbiamo visto tanti orrori, tante stragi, tutti in fuga…è questo
che ci è venuto in mente quando qualche anno fa ci parlarono delle centrali
idroelettriche” ha spiegato l’attivista. Ma se una battaglia è stata vinta, la
lotta per la vita degli Asháninkas continua. “Ci sono comunità come Potsoteni e
Unión Puerto Asháninka dove l’82% dei bambini soffre di denutrizione cronica. O
altre, come Boca Anapate, dove a scuola mancano i professori e lo Stato non è
mai arrivato”.
Il piano per
costruire nella selva centrale peruviana le centrali Pakitzapango e Tambo, da
parte del colosso brasiliano Odebrecht sono
fermi dal 2011 grazie all’opposizione degli Asháninka, l’etnia amazzonica più
numerosa del Perù. La Central Asháninca del Río Ene (Care), istituzione diretta
da Buendía, ha usato ogni mezzo sul piano legale presso la magistratura
nazionale, denunciando la mancata consultazione preventiva dei popoli della
regione..... I due impianti avrebbero inondato complessivamente oltre 9000
ettari di terre costringendo 24.000 Asháninkas ad abbandonare i territori
ancestrali della loro comunità, confinanti con il fiume Ene.
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