GIORGIA - DANIELE - ILARIA
LA ESPERIENZA MISSIONARIA... PER SCUOTERSI DA DOSSO LA POLVERE...
Uno dei primi aspetti che mi ha colpito di Lima é il suo cielo grigio, che
assieme alla polvere che regna sovrana, avvolge ogni cosa. Le case, le auto, los
cerros, i panni stesi, le piante e perfino le persone sembrano perdere colore e
tingersi nei diversi toni del grigio. Possono passare settimane intere senza
che un timido accenno di pallido sole faccia capolino tra la spessa coltre di
nuvole.
Mi sono accorta presto che ció poteva esser metefora della mia vita. La
polvere della quotidianitá, di meccanismi abitudinari di una vita densa di
impegni che necessita di un’organizzazione efficiente ma che perde di vista il
cuore, lo scopo, stava cominciando a penetrare. L’esperienza in missione mi ha
aiutato a prenderne coscienza e mi ha donato l’opportunitá di potermi
sperimentare e giocare in maniera nuova. Ci vuole coraggio per riconoscere e
tentare di superare i propri limiti,
fragilitá e scuotersi da dosso la polvere che si é depositata nei diversi anni
ma quando si riesce a farlo cio’ che ci circonda riprede possesso dei suoi
colori piú sgargianti e vivaci e lo spettacolo che si gode riempe di gioia e si
respira aria nuova.
Testimoni di coraggio sono le diverse mamme dei bambini che frequntano
l’asilo “San Francisco de Asis”. Donne col volto segnato da una vita dura fatta
di sacrifici, diventate madri in etá giovane, lasciate dai loro compagni o che
hanno dovuto lasciarli perché non le rispettavano, mamme che si alzano prima
dell’alba per preparare il cibo da vendere agli operai, che fanno due o piú
lavori per mantenere la famiglia. Donne che non demordono, che tenacemente
lottano per il futuro dei loro figli per potergli donare un luogo migliore dove
vivere. Nei loro occhi si legge stanchezza ma raramente disperazione. Danno
tutto se stesse , non si risparmiano e i risultati sono tra i piú grandi: i
loro bambini sono peni di voglia di vita, sanno regalare grandi sorrisi.
Ho avuto la possisibilitá di conoscere all’interno della missione un’altra
grande donna: Amelia. E’ la cuoca dell’asilo. Si muove con agilitá all’interno
della cucina, con precisione senza mai fermarsi come se stesse facendo i passi
di un ballo che conosce da tempo ma ci nel quale pone la stessa passione del suo primo ballo. Crede nel suo
lavoro, gli piace farlo e da il suo meglio ogni giorno non soltanto in cucina
ma con i bambini della scuola, con le maestre prendendosi cura di loro,
avendoli a cuore. Ne da testimonianza ogni giorno non con grandi discorsi ma
nella presenza costante e serena della sua cucina. É stato un bell incontro
fatto di sorrisi, parole, silenzi, “preparato cotto e cucinato” durante
i ritagli di tempo tra un’attivitá e l’altra.
Portero’ a casa testiminianze di persone che amano la vita e ne hanno sete,
che scelgono di spendersi totalmente senza risparmiarsi e di far sorgere ogni
mattina il sole dentro di sé colorando la propria vita e quella di chi gli é
piú prossimo.
(Giorgia, 30 anni di Bologna)
CONOSCENDO LA PERIFERIA DI LIMA E LE FAMIGLIE DELLA MISSIONE
...CON AMELIA: UNA "BELLA PERSONA" IMPEGNATA NELLA MISSIONE
Tempo di ascolto e di accoglienza
Osservare i visi delle persone che ci hanno aperto la porta delle loro
case, il loro timore iniziale nel mostrarci gli ambienti in cui vivevano e il loro graduale sciogliersi nel proseguire
degli scambi colloquiali e nel vedere il nostro reale interesse nei loro
confronti, mi ha fatto capire quanto delicato sia l’animo umano. Ho riflettuto
spesso in questi giorni su questo aspetto dell’esperienza che ho vissuto , sul
significato dell’accogliere e
sull’atteggiamento migliore da avere nei
confronti di queste persone, sull’importanza di non sovrapporre ai loro
racconti dei metri di misura mediati dalla propria cultura di appartenenza e
esperienze personali. Mentre ero immersa nelle riflessioni sul mio agire mi
sono gradualmente resa conto che non ero io a dover accogliere le persone che
incontravo, ma da ospite da straniera dovevo imparare a lasciarmi accogliere.
Io ho bussato e loro mi hanno aperto, ho mangiato il loro cibo, visitato i loro
luoghi di lavoro e di turismo. É stato in questo graduale aprirmi
all’accoglienza che ho compreso quello che padre Miguel ci ha detto: “ Essere
misericordiosi é mettere il cuore nella miseria” rinunciando a volte alle
nostre elucubrazioni mentali, mettendo da parte le nostre rigiditá, per aprirsi
all’altro imparando che ci si puó comprendere con uno sguardo, con un cuore a
cuore che a volte non necessita di grandi parole. In questo modo, ogni uomo
diventa terra di missione, un luogo sacro dove occorre togliersi i calzari,
dove bussare, attendere di essere accolti e lasciarsi accogliere vincendo il
timore del mostrarsi per come si é veramente. Per questo ringrazio le persone
che ho incontrato in Perú perché con i loro sguardi, con gli abbracci e le
belle parole ricevute mi sono sentita realmente accolta con rispetto apertura
affetto e grande tenerezza.
(Ilaria, 34 anni - Reggio Emilia.)
ATTIVITÁ CON I RAGAZZINI DEL "BARRIO" (San Juan de Lurigancho)
MOMENTO DI FRATERNITÁ PER LA "DESPEDIDA"
"MI CASA ES TU CASA...."
Tutti citiamo proverbialmente la frase di “Via del Campo”
di De André: “...dai diamanti non nasce
niente, dal letame nascono i fiorI”. Beh, ammettiamolo, la parola “letame”
sicuramente ci fa a primo ascolto inorridire, ci evoca qualcosa di
fondamentalmente sgradevole. Ma l’accezione con cui il cantautore ha usato tale
vocabolo, sicuramente non aveva alcunché di negativo, sudicio o sprezzante: esso
indica tutto ció che ha una Bellezza che non luccica al sole, una Bellezza che
non é fatta per apparire agli occhi, per “dare spettacolo di sé”, ma é fatta
per curare l’anima, perché tu possa viverla, rischiarla, desiderarla,
apprezzarla solo da dentro, immergendotici.
E di questa Bellezza abbiamo beneficiato noi pellegrini
di un’esperienza missionaria estiva qui, nella periferia di Lima, in quella
S.Juan de Lurigancho al cui nome persino
gli abitanti del centro di questa metropoli dai mille volti quasi
inorridiscono, come a dire che “quella
non é una zona per turisti”. Ma qui si viene non per “fare i turisti” nel
senso comune, quasi banale, del termine: qui si viene per essere turisti del
Vangelo. Che é certo un’operazione di visita, ma lo é non tanto di luoghi,
quanto principalmente di volti, di incontri umani, di ascolto, di storie, di vissuti,
di quotidianitá in un mondo profondamente diverso dal nostro. Bisognoso piú del
nostro in alcuni ambiti, in primis quello materiale e della giustizia sociale,
meno bisognoso per tanti altri. Come ad esempio quello della relazione umana.
Le persone incontrate qui, fossero maestre dell’asilo che si trova presso la
nostra missione, fossero le mamme e i papá dei nostri bimbi -che siamo andati a
trovare in questi oceani di favelas-, fossero le persone per strada, non
interrompevano la conversazione a causa dell’arrivo di un SMS o di un messaggio
su Whattsup, non si incantavano come pesci lessi a guardare uno schermo mentre
eri in loro presenza, non prediligevano una visione virtuale o materialistica
dei rapporti umani. Queste persone ti aprono la porta della loro dimora, umile
(alcune le definiremmo “tuguri”), ma dalla grandissima dignitá e dal valore della
conquista grazie alla fatica e alla tenacia; ti fanno accomodare, magari
all’interno dell’unica stanza che compone la loro casa di compensato e tetto in
lamiera, nella quale stanno i letti, il tavolo per il pasto e una tv a tubo
catodico di 25 anni fa. E nonostante il sacrificio che fanno coi loro lavori
dai miseri guadagni, essi ti offrono, a te e tutti gli altri ospiti, biscotti,
brioches e una bevanda calda. É il loro modo per comunicarti la loro
gratitudine per la visita. E offrirti
quel poco che hanno perché tu, ospite, ti senta a casa tua. Il famoso principio
del “Mi casa es tu casa”.
L’occhio rimane al contempo esterrefatto ed affascinato
dalla visione della “povertá”, della “desolazione”, dello “squallore” delle vie,
delle case senza intonaco, spessissimo lasciate non ultimate, diroccate....e
pian piano ci si accorge di quanto i concetti summenzionati siano relativi. Si
scopre, entrandovici, che all’interno vi é tanta vita, tanto lavoro, tante
formichine che non onestá e senso dell’abnegazione si svegliano al mattino
prestissimo (alcuni alle 3-4 di notte) per prepararsi e partire ad affrontare
una giornata che sará sicuramente dura, pesante, lontana da casa, ma alla fine che
li premierá con la visione dei loro figli che crescono, che vanno a scuola, che
coltivano sogni. Della loro famiglia che va avanti grazie alla tenacia di chi
la governa. A volte abbiamo incontrato
mamme che hanno subito soprusi e violenze dai loro mariti (un male purtroppo
endemico in questo Paese). Alcune hanno avuto il coraggio di ribellaresi e
andarsene assieme ai figli, altre no. La societá é piena di contraddizioni,
instabilitá, precarietá...é in continua lotta, tra la rassegnazione di alcuni e
la tenacia, la speranza e la voglia di cambiare di altri.
Qui abbiamo anche avuto il piacere immenso di svolgere
attivitá ricreative o formative coi bambini, sia dell’asilo sia piú grandi ,
tra i 6 e gli 11 anni. Questo ha arricchito la nostra esperienza, che ci ha
richiesto di inserire gli ingredienti della fantastia, della creativitá, del
canto, ballo, gioco, del rapporto con la parte piú primordiale e pura della
nostra personalitá. É l’esperienza che maggiormente ti riporta all’essenziale, e
a discernere con un’altra consapevolezza le sovrastrutture che si forgia il
mondo adulto.
Io personalmente ho avuto anche l’immensa fortuna di
poter fare l’esperienza di visita al carcere del Callao, zona a nord di Lima,
dov’é detenuto un ragazzo del mio Paese. Tale esperienza mi ha aperto gli occhi
su una realtá assai sconosciuta per me, o comunque piena di pre-concetti. Si é
rivelato un mondo che nella sua durezza e nella sua “cappa di oppressione alla
libertá”, mi ha portato a contatto con storie, persone con un cuore veramente
grande, dallo spessore dell’anima sconfinato, e che mi ha fatto comprendere
quanto sbagliato, infondato e profonamente inetto sia il nostro atto di
giudicare tutto e tutti, soprattutto coloro che stanno in una struttura
carceraria in cui si paga per errori commessi. Ho appreso tanto, forse piú in
quelle poche ore di visita che in 4 anni di universitá. Ma non sono nozioni
quelle che si apprendono lí dentro. Sono storie di persone, storie di errori
umani, dati dalle debolezze che tutti noi possediamo, e che, nella medesima
situazione, probabilmente avremmo perpetrato noi stessi, finendo al posto in
cui si trovano quei nostri fratelli. Ma il punto é che lí, c’é chi, attraverso
la conoscenza del male, ha compreso per davvero cos’é il Bene, e lo vuole
perseguire con tutta la sua volontá. Perché, come dice la nostra fantastica
guida spirituale, amica ed accompagnatrice Hermana Paola Torelli: “Bisogna
sempre dare fiducia al Bene che risiede in una persona”. E mai scorderó l’intensissimo
abbraccio, carico del piú puro affetto, amicizia e senso di fraternitá, che ho
scambiato col mio amico, detenuto in quel carcere. Lí ho capito che il Vangelo,
ossia l’abbraccio di Gesú, non é qualcosa di astratto, che proviene da un
lontano ed indefinito iperuranio: Gesú ci abbraccia ogni volta che viviamo una
relazione vera, aprendo il nostro cuore all’altro fratello, cancellando i
sentimenti di diffidenza, superbia o indifferenza, per spalancare le porte del
nostro cuore all’altro. E spalancandole cosí a Lui.
(Daniele Alberini, 24 anni - Reggio Emilia)
ATTIVITÁ CON I RAGAZZINI DEL "BARRIO" - SAN JUAN DE LURIGANCHO
MOMENTO DI FRATERNITA - deserto di Ica
"ED ORA... NON PUÓ PIÚ ESSERE
COME SE NULLA FOSSE ACCADUTO"-
Padre Miguel (capellano Carcere Castro castro - Lima)